Questo è un luogo dove le parole, incontrano la musica, la natura, l'arte, il silenzio e la notte. Qui nasce la mia poesia, le mie canzoni, i miei sogni da due soldi che tali resteranno, ma sarò felice di farveli toccare con mano. Questa è una voce fuori campo, fuori dal coro, fuori da quello che non sia creazione di emozioni.
Orizzonte

giovedì 12 marzo 2015
lunedì 9 marzo 2015
Domenica 5 Aprile e Lunedì 6 Aprile, vi aspettiamo nel nostro splendido giardino sul mare, per ricominciare insieme a voi l'avventura che ci vede protagonisti ormai da tempo. All'insegna delle tradizioni contadine e marinare, vi porteremo alla scoperta del benessere, dell'arte, della cultura e di tutto quanto ci sia di bello nel Cilento. Spettacoli di improvvisazione e lettura di racconti brevi e poesie a cura di Nigel Lembo, mostra inaugurale d'eccezione, convivialità e amicizia, saranno gli ingredienti per ricominciare insieme la nuova stagione alla Tana della Sirena.
venerdì 6 marzo 2015
Sogni fatti a mano, capitolo terzo-paragrafo primo
Capitolo
Terzo- Paragrafo 1°
Il
cuoco Arabo ripara anche le mattonelle dismesse del pavimento.
L'abbiamo fatto a notte fonda, quando il servizio in cucina era
finito, usando una paletta per la griglia e la colla rimasta dai
lavori d'un tempo. Lui viene dal Bangladesh, come Alam, il secondo
cuoco e Ranjid, il factotum. Il pizzaiolo viene dallo Sri Lanka,
assomiglia ad un personaggio di un film del quale adesso non ricordo
il nome, è simpatico e veste come negli anni settanta.
Ormai
sono al secondo mese di lavoro, nessuno pronuncia bene il mio nome,
mi chiamano tutti “chef”, tranne il cameriere italiano che
diverrà direttore. Aldo, il responsabile di sala è Tunisino, grande
esperienza e savoir faire, Erick, l'altro direttore, è Libanese,
come il proprietario, Charlie. Erick non è una bella persona,
arrogante e spocchioso, crede di poter disporre della vita degli
altri solo perché ha un grado gerarchico più alto, ma ha capito che
con me non attacca. Un giorno l'ho visto maltrattare il lavapiatti,
Dusche, un uomo di sessant'anni, un po' scroccone ma in gamba. Gli ho
detto che non poteva trattare così una persona, mi ha guardato a
lungo, poi è andato via, io e lui non ci siamo piaciuti da subito,
certe cose le senti a pelle. I camerieri si alternano spesso qui, gli
orari sono duri, non si stacca mai prima di mezzanotte passata, c'è
sempre qualcuno che giunge tardi per una pizza o un piatto di pasta.
La cucina chiude ipoteticamente alle undici di sera, ma Erick accetta
sempre i clienti anche dopo, i soldi sono soldi. In cucina tutti
fanno tutto, tutti lavano i piatti, tutti cucinano, tutti fanno le
pizze, tutti lavano in terra, tutti fanno i dolci. Charlie è un uomo
con un buon gusto per la cucina, ma non conosce quella Italiana,
stupefacente per uno che ha aperto un ristorante di quest'ultima.
Arriva spesso con grandi quantità di carne, la sua passione, ci dice
come vuole mangiarla, puntualmente la cuciniamo in modo diverso e lui
è felice lo stesso, a lui basta dare ordini e mangiare, mangiare e
dare ordini. Ho conosciuto molti padroni così, forse i padroni
devono esserlo, per essere padroni. Un tempo facevo il manovale, al
mio paese, in un parco sul mare. Il datore di lavoro credeva anche di
essere un padrone, ma era solo il custode al quale era stata affidata
la parte riguardante la manutenzione del villaggio. Al mattino
presto, ci lasciava le chiavi e diceva sarebbe andato a portare i
figli a scuola e che sarebbe tornato subito dopo. Non lo vedevamo
fino alle cinque di pomeriggio, ogni tanto veniva qualcuno che voleva
fittare una villetta o un appartamento, quindi mi toccava fare anche
l'agente immobiliare. Un giorno abbiamo dato fuoco ad un ammasso di
sterpaglie secche, per far pulizia nella discesa per il mare, il
tutto è degenerato, eravamo solo ragazzi, non avevamo calcolato il
vento e si bruciarono due balconi di una veranda. Non sapevamo se
fuggire via o restare a contemplare il tutto con sgomento. Alla fine
rimediammo in due giorni, sostituendo i balconi con altri nuovi,
dicendo che quelli vecchi ormai erano andati. In quel periodo
lavoravo con due cari amici, Patrick e Andrea, che venivano da
lontano, dai monti ma da due paesi diversi. Nella pausa pranzo,
mangiavamo a casa mia, poco distante dal villaggio. Si parlava di
tante cose, si beveva tanto vino, forse troppo, tante risate e poi la
voglia di lavorare che il pomeriggio volava via. Uno di quei giorni,
ricordo che dovevamo trattare un pavimento appena messo, in fondo una
cosa relativamente facile. Il mio amico Patrick, dopo aver gettato
troppo prodotto liquido, si era messo a dormire in terra, credo quasi
in coma etilico, mentre io e Andrea cercavamo di asciugare il tutto
con quello che avevamo a portata di mano, accappatoi, tovaglie,
abiti, tutte cose appartenenti ai proprietari della casa. Questi
ultimi sarebbero arrivati nel tardo pomeriggio, il panico incalzava.
Trovarono Patrick che dormiva nel vialetto, nonostante lo avessimo
nascosto bene dietro un grande vaso in terracotta. Non si accorsero
di nulla, il giorno dopo portammo ciò che avevamo sporcato in
lavanderia, tutto andò al suo posto. Certo non come quella volta, in
cui Andrea aveva confuso quale parete buttar giù di un altro
appartamento. Ricordo i colpi forti con la mazza di ferro, la faccia
stupita del proprietario quando arrivò e vide il danno. Ci fu un
lungo minuto di silenzio, come quelli di raccoglimento che si tengono
allo stadio quando c'è da ricordare un lutto. Il venti di Maggio
festeggiammo il mio compleanno, tutti e tre, in un agriturismo sulle
colline, lo ricordo con dolcezza e malinconia, dopo quella volta
Patrick non l'ho più rivisto, mentre Andrea si rendeva sfuggente,
credo avesse problemi in famiglia. L'ultimo ricordo che ho di lui è
quando andò a chiedere lo stipendio al custode, e lui trattenne i
soldi delle colazioni al bar, che all'inizio diceva di offrirci. I
padroni, o quelli che si credono tali, forse sono tutti un po' così,
non credo sia cattiveria, ma ci si cala nel ruolo, inevitabilmente.
I
giorni di lavoro qui, alla “Perla”, passano veloci, faccio
cinquanta ore a settimana, è faticoso ma sono diventati tutti un po'
una famiglia, in cucina. Ho persino imparato un po' di Arabo, non
potrebbe essere altrimenti, visto mi parlano nella loro lingua e
molto poco in Francese. A loro piace quando canto nel turno di
servizio, anche se dall'interfono al piano di sopra mi fanno capire
che devo star zitto. Si divertono quando parlo in Italiano,
soprattutto Ranjid, cordiale e sorridente quasi sempre. Lui di ore ne
fa settanta alla settimana, all'inizio credevo vivesse lì, pensavo
dormisse in qualche deposito, dato lo trovavo sul posto a qualsiasi
ora arrivassi. Il cuoco Arabo è molto bravo, un po' presuntuoso ma
lavora davvero bene, è generoso con gli altri, aiuta sempre tutti.
Molti di loro si sono stupiti più volte vedendomi lavorare, una
volta Alam mi ha chiesto se fossi davvero Italiano, visti i
precedenti cuochi passati da quelle parti, che non davano mai una
mano agli altri.
Mi
dispiace un po', andar via. Ormai mi trovo bene, ma non posso più
tollerare mi paghino così poco, per quello che faccio, né
l'ambiente che mi disturba per quel senso di schiavitù, per non
parlare del fatto che con la mia compagna praticamente ci diamo la
buonanotte ed il buongiorno, a parte quando passo nel primo
pomeriggio a prendere un caffè dove lavora.
Mi
pesa, vivere qui così, speravo la cucina a domicilio andasse meglio,
in fondo all'inizio è stato bello, così come per i corsi di cucina.
Ma non sono cose sulle quali puoi del tutto basare la tua autonomia,
in una città come Parigi. C'è stato un periodo in cui lo facevo in
Italia, a Roma e prima ancora dalle mie parti, nel Cilento. Con mia
madre cucinavamo in una villa, per stranieri occasionali che
fittavano a settimane. Era bello, guadagnavamo bene e c'era un bello
scambio. Mia madre è sempre stata una grande cuoca, da piccolo la
guardavo per ore mentre preparava il pranzo o la cena. Mi stupiva la
sua grande volontà anche a tarda notte, nel curare dettagli per un
pranzo importante dell'indomani. In fondo, mi stupisce ancora oggi,
questa sua incrollabile determinazione, e nel cuore mi pento ogni
giorno di tutte le volte in cui sono stato ingiusto con lei, ho preso
sempre sottogamba i suoi sogni, senza ascoltare mai abbastanza. Non
ho mai pensato che forse, alla fine, lei potesse avere tutti quei
sogni come li avevo io. Che stupido sono stato. L'età non conta, i
sogni sono sempre là, sempre in cantiere o nel famoso cassetto, ed
io non ho saputo per molto tempo vedere i suoi. Lei mi ha trasmesso,
come mio padre, la passione della poesia e della scrittura. Di
entrambi ho ritrovato interi quaderni di raccolte, di poesie e
pensieri, che mi davano una tale gioia nel rileggerli. Pensavo, che
non ero tanto lontano da come loro mi volevano, da come avrebbero
voluto un figlio, in fondo ero come loro. Nella vecchia casa di mio
nonno, all'ultimo piano, abbiamo vissuto qualche anno prima che
costruissero casa nuova. Da quel terrazzino in mattoni rossi e pietre
e conchiglie appoggiate sui davanzali, scrutavo il mare, leggendo
libri di poesie, compresi i loro, ma non lo dicevo, mi sembrava di
aver violato un segreto che gli appartenesse. Solo in seguito, quando
ho creduto di scrivere bene, ho dedicato loro delle mie poesie,
chissà se adesso se lo ricordano ancora. Mia madre di sicuro, non
perché abbia una memoria migliore, ma perché rispetto a lui fa meno
fatica ad esprimere quel che sente. Mio padre ha faticato anche solo
a dirmi di volermi bene, nella vita, anche se me lo ha dimostrato nei
modi più disparati. L'orgoglio è sempre stato il suo male peggiore,
come lo è stato e a volte ancora lo è per me. Non ho memoria del
suo ultimo abbraccio, dopo l'età dell'infanzia, non ho memoria di
una sua carezza, anche se so che avrebbe voluto, ma la sua non è mai
stata una vita facile e non lo condanno per questo, ci ha dato sempre
tutto quello che poteva come uomo e come padre. Mia madre lo stesso,
ma lei sapeva dire e fare cose che contemplano l'essere vulnerabili
agli occhi degli altri, una dote che le ho sempre invidiato. A loro
penso spesso, mi mancano e so di mancargli, mi mancano le loro
espressioni del viso e i loro modi di dire certe cose quotidiane,
anche se mi fanno incazzare regolarmente le stesse.
Credo
di non aver mai del tutto, mai veramente detto loro quanto li
apprezzi e li stimi, quanto di bene ho sempre colmo il cuore, in ogni
momento, credo meriterebbero un viaggio nel mio animo senza barriere,
una spiegazione di tutte quelle brutte forme che ho vestito nella
vita. Magari un giorno, magari non lontano, gli preparo una bella
colazione e nel nostro giardino dove fuggivo dalla scimmia giocattolo
quando ero bambino, magari gli racconto davvero la mia vita, senza
freni, senza muri, senza recitare.
Magari,
riesco anche a chiedergli scusa e a dirgli grazie, per tutto quello
che sono stato e per quello che sono adesso. Quello, sarà un bel
giorno, per abbracciarsi o farsi una carezza, anche se non posso
tornare alto la metà di quel che sono.
martedì 3 marzo 2015
Pablo Neruda
Questa è una poesia che sveglia ogni atomo del cuore.
lunedì 2 marzo 2015
L'attimo
L'attimo in cui, tutto sembra essere giusto,
tutto sembra coincidere,
l'istante in cui apri e chiudi gli occhi
ed il fiore sboccia,
in cui pensi che è tutto vero,
l'attimo in cui apri e chiudi le mani
e non resta solo il vento.
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