Mi capita spesso, adesso che la mia vita a Parigi si protrae ormai da due anni, di vedere, di fermarmi ad ammirare questa gente. Praticamente un popolo a parte. E non importa quale connotazione religiosa, culurale, nazionale, politica, essi abbiano. Appartengono tutti ad una stessa grande famiglia. Mi piace, ogni tanto, pensarli in una riunione mondiale degli artisti di strada, tenuta magari in una sconfinata prateria, liberi e spensierati, con tanta roba da bere e da mangiare, senza, per un giorno, la sciagurata preoccupazione di come tirare avanti un'altra notte. Li invidio, a volte, essi non sanno vivere in modo convenzionale, non possono in alcun modo essere inquadrati in nessuna circoscrizione, e rido tanto quando qualcuno pensa di poterli scoraggiare o sterminare o ancora peggio farli tacere, con metodi che appartengono alla sfera della disumanità.
È vero, non hanno forse una vita felice, ed insozzano le strade, fanno baccano, molestano i passanti per qualche soldo, sì è vero, sono scomodi come coinquilini, alcuni sono barboni, alcuni artisti in rovina, altri ancora non hanno alcuna voglia di lavorare, se non con la loro arte, come il dono più bello del mondo. Mi incanto, ogni volta, a capire come ci sia quasi sempre il sorriso che accompagni le loro esibizioni, ogni volta mi perdo nelle melodie che sia nel metrò o sulla sponda della Senna, o in qualche vicolo dimenticato dagli uomini. Vicino casa mia, in rue Mouffetard, ce ne sono alcuni storici, che allesticono la domenica mattina uno spettacolo degno di nota, canti e balli, fisarmonica e abiti d'epoca, un vero sogno ad occhi aperti. Altri, vivono come barboni, ormai famosi clochards di questa zona. Uno di questi è un bell'uomo con la chitarra, con dubbio talento ma tanta passione e volontà. All'inizio, mi chiedeva sempre una sigaretta, tutte le volte che mi vedeva passare. Adesso, quasi lo cerco quando vagabondo nelle stradine, gli porgo il pacchetto e gli auguro una buona giornata.
Nessun commento:
Posta un commento